Ceramica

Le mie sculture sono semplici, costruite con arcaica tecnica artigianale, cordoni di argilla, cerchi, che salgono dal basso verso l’alto.

Il centro dei cerchi è vuoto, seguendo l’andamento delle mani, la forma nasce intorno a quel centro, come un diaframma sottile che delimita il cavo interno alla scultura.

I cordoni sono saldati fra loro con impasto cremoso di terra e ossidi metallici di diversi colori (non uso pennelli per colorare, solo le mani, durante la lavorazione del modellato)..

La creta ha i suoi tempi: deve asciugare lentamente  e assestarsi secondo la percentuale di ritiro che la distingue.

Una volta essiccata si cuoce a gran fuoco e, dopo circa 24 ore, la scultura finita può essere estratta dal forno.

Un procedimento diverso riguarda i  neri: “bucchero“. Qui, durante la cottura, è necessario creare una atmosfera fortemente riducente, per sottrarre l’ossigeno agli ossidi contenuti nella creta, così gli impasti  assumeranno la caratteristica colorazione nera.

Più complesso è il procedimento a terzo fuoco, per ottenere l’oro. Saranno infatti necessarie tre cotture: 1 gran fuoco, 2 cottura per l’invetriatura, 3 doratura con oro zecchino colloidale e fusione a piccolo fuoco.

“Odalisca” (2018) h18cm circa, oro, terzo fuoco

LA VOCE DEL GESTO

Le mie sculture hanno la forma di un racconto, quello rievocato da un gesto attuato con artigianale naturalezza.

Il decoro è quindi calligrafia, forma scritta della voce inudibile di quel gesto che, man mano, viene in luce e trae  aspetto.

Le corde d’argilla diventano pelle istoriata.

In realtà, le “Odalische”, le “Osmunde”, con la loro apparenza materica di grevi terre cotte, sono modellate sull’orlo del  vuoto, sono impronte dell’assenza.

Le assonanze con certe forme che appartengono a un passato lontanissimo, fino al Paleolitico superiore, sono dovute più che a un disegno dell’intelletto a una sorta di ridondanza morfica, che ritengo si manifesti quando l’agire è sorretto da un istinto codificato, che ci accomuna tutti, dall’età della pietra ai giorni nostri, in quanto uomini.

Ripetendo l’atto primario, origine e fine si intrecciano in una litania del fare che sale, come  una preghiera, dal basso verso un oscillante polo siderale.

Questo andamento del gesto, circolare-tautologico, intorno a un centro cavo indica un riferimento cosmico, mitologico; finalmente la narrazione ritrova coincidenza con la forma: come in un “Mandala”, uno “Stupa”, una “Ziqurrat” che rispecchiano la cosmogonia, anche qui si rappresenta l’aspetto di un tempio contemporaneo.